Per cominciare…un breve cenno sull’andamento dei mercati.
Il 2021 si è caratterizzato per una straordinaria riaccelerazione della crescita globale, a seguito delle riaperture di molte attività economiche (temporaneamente e in vario modo bloccate dalla pandemia da Sars Covid 19), rese possibili principalmente dalle campagne vaccinali iniziate nei Paesi sviluppati già sul finire del 2020.
Per effetto di questa generalizzata accelerazione, e in particolare per dinamiche proprie del settore energetico, si è registrato un significativo aumento dell’inflazione.
Quest’ultimo è stato dapprima considerato dalle Banche centrali e conseguentemente dai mercati finanziari come congiunturale e transitorio, legato principalmente al fabbisogno energetico dei comparti produttivi tornati a pieno regime e all’ampliarsi di alcune rilevanti strozzature nelle catene di approvvigionamento globali.
Tuttavia, a fronte della persistenza e dell’ampiezza del fenomeno e delle motivazioni ad esso sottese, negli ultimi mesi dell’anno si è assistito ad un parziale cambio di atteggiamento delle autorità centrali, che, Federal Reserve in testa, hanno delineato un percorso di normalizzazione della politica monetaria, orientata quindi verso il progressivo innalzamento del livello dei tassi di interesse. A novembre la Fed ha infatti iniziato a ridurre gli acquisti di titoli (tapering) preannunciando l’inizio del rialzo dei tassi nel 2022 e queste decisioni hanno fatto salire i tassi a più breve scadenza, fino a quel momento fermi su livelli estremamente contenuti. Il tasso a 10 anni statunitense è passato da 0.9% a 1.5%, il tasso a 2 anni da 0.1% a 0.7%.
Più accomodante l’atteggiamento della BCE, anche a fronte di un rialzo dell’inflazione in area Euro meno marcato che in USA, tuttavia anche la BCE ha preannunciato in dicembre una graduale riduzione dell’acquisto di titoli, a far data da marzo 2022.
Infine politiche monetarie restrittive hanno inciso particolarmente sull’andamento dell’economia di molti Paesi emergenti, caratterizzato nel 2021 da una diffusa debolezza.
Sul fronte della pandemia da Sars Covid 19, l’emergere di nuove varianti ha causato il permanere di misure più o meno rigide di contenimento dei contagi, tuttavia l’impatto sull’economia e sulla volatilità dei mercati è stato decisamente contenuto rispetto al 2020, anche per effetto delle soluzioni organizzative già approntate dopo l’emergere dell’emergenza sanitaria.
I mercati finanziari hanno in larga misura replicato la dinamica sopra descritta con riferimento alle attività produttive e alle variabili di politica monetaria.
In particolare gli indici azionari hanno proseguito la dinamica di forte ascesa iniziata già dall’aprile del 2020, pur se con rilevanti differenze geografiche, se infatti le borse dei paesi sviluppati hanno realizzato incrementi spesso superiori al 20% (Usa e Area Euro) i mercati azionari dei Paesi emergenti nel complesso sono rimasti fermi, risentendo in Asia del rallentamento dell’economia cinese e in America Latina, come detto, dell’effetto di politiche monetarie restrittive.
Dal punto di vista settoriale i comparti trainanti sono stati l’energetico, il tecnologico ed il finanziario, meno mossi i settori delle utilities e delle telecomunicazioni.
Gli indici obbligazionari invece per effetto del rialzo dei tassi di interesse hanno mostrato un generale deprezzamento sia nei paesi sviluppati, sia nei paesi emergenti.
I ribassi (comunque contenuti se comparati ai rialzi azionari) hanno coinvolto in varia misura sia gli indici governativi, sia il mercato corporate, al di qua e al di là dell’oceano.
Unica eccezione i titoli obbligazionari governativi inflation linked che, grazie alle rinnovate spinte inflazionistiche, registrano un incremento significativo (+6%) in Europa e negli Stati Uniti.
Infine sul mercato dei cambi si è assistito ad un generalizzato indebolimento dell’euro, contro il dollaro (-6,93%), contro la sterlina (-5,86%) e il franco svizzero (-4,04%), che ha contribuito a incrementare in misura significativa il ritorno degli investimenti a cambi aperti.
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