Novità da Fonchim Conflitto d'interessi sui fondi

Novità da Fonchim

Conflitto d'interessi sui fondi

Il Sole 24 Ore

di Orazio Carabini

Venghino,signori,venghino. Benvenuti al grande circo della previdenza complementare made in Italy. Benvenuti nel mondo delle pensioni di scorta. Dove nulla è impossibile. E di certezza ce n'è una sola: domani le regole non saranno le stesse di oggi. Riepilogo delle puntate precedenti. A 13 anni dai primi vagiti legislativi della previdenza complementare, nel novembre scorso il Governo mette a punto il decreto legislativo della svolta. Ci arriva dopo uno snervante processo concertativo, con i sindacati e le organizzazioni degli imprenditori impegnate in un duro tiro alla fune. E dopo una tortuosa mediazione con le lobby perché questa volta le assicurazioni hanno deciso di giocare duro. E, ben sostenute dall'allora presidente del Consiglio e dai suoi fedeli ministri, vogliono aggiudicarsi una fetta di torta. Risultato: si parte dal 1° gennaio 2008. Il Tfr che il lavoratore dipendente matura ogni anno potrà essere impiegato come risparmio previdenziale. Il meccanismo partorito al termine della complessa mediazione è barocco. Funziona così. Il lavoratore ha due opzioni che "può" esercitare espressamente: lasciare il Tfr dell'anno nella sua azienda e continuare come se nulla fosse successo, oppure dirottarlo verso una forma di previdenza complementare (fondi pensione o polizze assicurative). Attenzione però: il decreto contempla anche l'ipotesi della "non opzione". Ovvero: che cosa succede se il lavoratore non esprime una preferenza? Ecco allora la procedura del silenzio assenso:l'inoptato finisce nell'ordine al fondo pensione contrattuale del suo settore (se ce n'è uno), al fondo pensione della sua regione (se esiste) e infine al "fondo residuale" da costituire presso l'Inps. Quest'ultimo, peraltro, non è chiaro come dovrebbe funzionare. Secondo alcuni, sarebbe un fondo pensione vero e proprio, a capitalizzazione: il lavoratore dà i soldi, l'Inps li investe (ahi, ahi), quando il lavoratore va in pensione riceve indietro i soldi che ha versato e i rendimenti maturati con l'investimento dell'Inps (ammesso che sia positivo). Secondo altri, sarebbe un puro parcheggio da investire nella forma più liquida possibile. Insomma, il risultato è un po' contorto ma almeno, sembrava, si parte. Invece no,le sorprese non sono finite. Arriva la prima Legge finanziaria del governo Prodi. Servono soldi. Tanti, maledetti e subito. Quel Tfr che viaggia tra imprese e fondi pensione attira l'attenzione di qualche economista furbetto. Ormai è passato il principio che il lavoratore può riappropriarsi di quel "salario differito" chiamato Tfr. Specularmente l'impresa può perdere quella che è stata finora un'impropria fonte di finanziamento: i soldi accantonati per il Tfr vengono infatti usati invece del capitale di rischio o del credito bancario che costano assai di più delle liquidazioni (il cui rendimento è pari all'1,5% più il 75% dell'inflazione, totale circa 3%). Ma allora, arguiscono i furbetti, visto che il principio è stato metabolizzato, la parte che i lavoratori decidono di lasciare nelle imprese può essere "dirottata" all'Inps. Tutta? Meglio di no,altrimenti le imprese si infuriano. Si parte da due terzi (65%) e comincia un tira e molla che finisce al 50 per cento. Per le casse del Tesoro è un bottino da favola: 6 miliardi nel 2007 che scendono a 5 se si considerano le somme da pagare ai lavoratori che hanno maturato il diritto a riscuotere e le misure compensative per le imprese previste dalla stessa Legge finanziaria. L'ipotesi sottostante è che 12 miliardi, cioè due terzi del flusso 2007 del Tfr, resti alle imprese (e venga diviso equamente con l'Inps), mentre il 35% andrebbe alla previdenza integrativa. Nuovo riepilogo: che cosa succede al Tfr nel 2007? Il lavoratore dipendente ha sei mesi di tempo (fino al 30 giugno) per "optare". Può decidere di investirlo in un fondo pensione contrattuale o in un'altra forma di previdenza complementare (fondo aperto,polizza assicurativa). Oppure può decidere di lasciarlo in azienda: in questo caso il 50% se lo prende l'Inps che lo gestisce come se fosse in azienda. Ma il lavoratore può anche non "optare". E sull'inoptato si fa molta confusione: persino il ministro dell'Economia Tommaso PadoaSchioppa (vedere «La Repubblica» di ieri) considera inoptato tutto quanto non viene esplicitamente destinato alla previdenza complementare. Invece l'inoptato, almeno stando alla lettura del testo della Finanziaria, passa ancora per la trafila descritta sopra: dopo il periodo di silenzio assenso va al fondo pensione contrattuale, al fondo regionale, infine al fondo Inps. A meno che non stia maturando un'altra sorpresa e cioè che con il silenzio assenso il Tfr vada per metà alle imprese e per metà all'Inps. Intanto, a sorpresa, è sparito il fondo residuale dell'Inps che lascia il posto al nuovo "megafondo". Non poteva mancare la chicca finale. Con la Legge finanziaria il Governo stanzia 17 milioni per una campagna informativa sulla previdenza complementare. Da gennaio gli italiani saranno inondati di opuscoli e di spot televisivi in cui si spiega che la previdenza pubblica non basta più, che tutti devono farsi una pensione di scorta, che i fondi pensione mediamente rendono più del Tfr. Giusto. Ma se la campagna è fatta bene, c'è il rischio che i lavoratori portino il Tfr nei fondi pensione in misura superiore al previsto. E che lo Stato si ritrovi con il suo fondo Inps nuovo di zecca a corto di risorse. Sarebbe divertente assistere alla riunione in cui gli esperti dei ministeri coinvolti spiegheranno alle agenzie pubblicitarie il messaggio da veicolare con gli spot sulla previdenza integrativa: lo Stato che cerca di assicurare un futuro migliore agli italiani ma contro i suoi interessi. Fantastico.

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